La dismissione è opera che ha guadagnato nel tempo una bruciante attualità. Vi si leggono le sorti dell’Ilva di Bagnoli e della Napoli operaia attraverso la vicenda di Vincenzo Buonocore, entrato all’Ilva come semplice manovale e diventato, con gli anni, tecnico specializzato alla guida delle Colate continue. A lui viene affidato l’incarico di smontare il suo reparto, venduto ai cinesi. Al colpo durissimo reagisce in maniera imprevedibile. In preda a uno stato di esaltazione nevrotica, decide di eseguire il compito assegnatogli con una precisione e un rigore “assoluti”. Questa dismissione, dice a se stesso, dovrà avvenire “bullone per bullone”, dovrà essere il mio “capolavoro”, la prova tangibile del mio genio operaio. La meravigliosa dedizione di Buonocore non cancella il lavoro negato né tantomeno la sconfitta, che è la sua ma anche quella di tutta Napoli e del Paese nel suo insieme. Il romanzo si chiude con un corteo funebre, tanto straziante quanto simbolico, e con il presagio di futuri disastri: dal dilagare della disoccupazione all’imperio di una camorra destinata a non avere più freni. A Napoli si è aggiunta Taranto, ma il quesito rimane lo stesso: perché tanta cieca improvvisazione? La risposta di Buonocore – di tutti i Buonocore d’Italia, vecchi e nuovi – non muta: perché abbiamo un capitalismo straccione e una classe dirigente inetta e famelica.
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La dismissione è opera che ha guadagnato nel tempo una bruciante attualità. Vi si leggono le sorti dell’Ilva di Bagnoli e della Napoli operaia attraverso la vicenda di Vincenzo Buonocore, entrato all’Ilva come semplice manovale e diventato, con gli anni, tecnico specializzato alla guida delle Colate continue. A lui viene affidato l’incarico di smontare il suo reparto, venduto ai cinesi. Al colpo durissimo reagisce in maniera imprevedibile. In preda a uno stato di esaltazione nevrotica, decide di eseguire il compito assegnatogli con una precisione e un rigore “assoluti”. Questa dismissione, dice a se stesso, dovrà avvenire “bullone per bullone”, dovrà essere il mio “capolavoro”, la prova tangibile del mio genio operaio. La meravigliosa dedizione di Buonocore non cancella il lavoro negato né tantomeno la sconfitta, che è la sua ma anche quella di tutta Napoli e del Paese nel suo insieme. Il romanzo si chiude con un corteo funebre, tanto straziante quanto simbolico, e con il presagio di futuri disastri: dal dilagare della disoccupazione all’imperio di una camorra destinata a non avere più freni. A Napoli si è aggiunta Taranto, ma il quesito rimane lo stesso: perché tanta cieca improvvisazione? La risposta di Buonocore – di tutti i Buonocore d’Italia, vecchi e nuovi – non muta: perché abbiamo un capitalismo straccione e una classe dirigente inetta e famelica.