Qual è il vero significato strategico dell'Unione monetaria europea? Quali i suoi obiettivi, nell'evoluzione del sistema economico e politico mondiale dei prossimi decenni? Quali le conseguenze su scala nazionale? E quali le convenienze? Uno dei nostri più brillanti e autorevoli economisti si cimenta qui con il compito di rendere facili e piani concetti apparentemente difficili. E in questa nuova edizione accresciuta, che esce a distanza di sei mesi dalla prima, e quando ormai l'Euro è divenuto una concreta realtà, molte delle sua lungimiranti analisi mostrano una tenuta che non è esagerato definire "profetica". Il problema è di restituire con razionalità il senso della scelta dell'Euro nel quadro del più generale scenario dell'economia e della finanza mondiale: un senso che istintivamente sembra essere già stato colto dalla maggioranza dei cittadini, ma che stenta ancora a manifestarsi in tutte le sue implicazioni. La moneta unica europea si avvia a coprire un'area che comprende più abitanti degli Stati Uniti e del Giappone. Il peso economico e commerciale dell'Europa degli undici sarà confrontabile con quello degli Usa e maggiore di quello giapponese. Anche l'apertura al commercio estero dei paesi dell'Euro è in media eguale a quella degli altri due grandi interlocutori. «Siamo dunque - osserva de Cecco - di fronte a una grande svolta dell'economia mondiale. Tre blocchi si sono formati. Ma non sono ancora tra loro veramente confrontabili». Il colosso americano trae dalla propria forza interna e dall'egemonia politica di cui può disporre una posizione di primato, che gli consente di ammortizzare con grande facilità gli effetti destabilizzanti che le sue stesse politiche vanno producendo sui mercati finanziari dell'Est asiatico. D'altro canto il Giappone, che pure sconta una certa recente debolezza, può contare su una solida struttura statale. Mentre dunque, con tutte le loro diversità, Usa e Giappone sono due Stati tradizionali in piena regola, con una politica estera e una politica economica centralizzata, per l'Europa si tratta di avviare un processo che la porti ad acquisire, attraverso profonde trasformazioni, le caratteristiche di una vera e propria «economia continentale». È questo, d'altro canto, l'unico modo per impedire che si assista nei prossimi anni a una «globalizzazione selvaggia», con una sola super-potenza, gli Stati Uniti, soggetta alla tentazione di «praticare il mercantilismo, travestendolo da libero scambio». Ma chi terrà, in Europa, le file di questo disegno? Sarà inevitabile il trionfo di quel modello «mitteleuropeo» che sembra oggi prepotentemente imporsi, con relativa «balcanizzazione» del resto del vecchio continente? O ci saranno possibili alternative? E quali conseguenze si avranno per il nostro paese, da sempre sbilanciato da uno squilibrio territoriale che rischia di lasciare il Sud fuori dall'Europa?
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Qual è il vero significato strategico dell'Unione monetaria europea? Quali i suoi obiettivi, nell'evoluzione del sistema economico e politico mondiale dei prossimi decenni? Quali le conseguenze su scala nazionale? E quali le convenienze? Uno dei nostri più brillanti e autorevoli economisti si cimenta qui con il compito di rendere facili e piani concetti apparentemente difficili. E in questa nuova edizione accresciuta, che esce a distanza di sei mesi dalla prima, e quando ormai l'Euro è divenuto una concreta realtà, molte delle sua lungimiranti analisi mostrano una tenuta che non è esagerato definire "profetica". Il problema è di restituire con razionalità il senso della scelta dell'Euro nel quadro del più generale scenario dell'economia e della finanza mondiale: un senso che istintivamente sembra essere già stato colto dalla maggioranza dei cittadini, ma che stenta ancora a manifestarsi in tutte le sue implicazioni. La moneta unica europea si avvia a coprire un'area che comprende più abitanti degli Stati Uniti e del Giappone. Il peso economico e commerciale dell'Europa degli undici sarà confrontabile con quello degli Usa e maggiore di quello giapponese. Anche l'apertura al commercio estero dei paesi dell'Euro è in media eguale a quella degli altri due grandi interlocutori. «Siamo dunque - osserva de Cecco - di fronte a una grande svolta dell'economia mondiale. Tre blocchi si sono formati. Ma non sono ancora tra loro veramente confrontabili». Il colosso americano trae dalla propria forza interna e dall'egemonia politica di cui può disporre una posizione di primato, che gli consente di ammortizzare con grande facilità gli effetti destabilizzanti che le sue stesse politiche vanno producendo sui mercati finanziari dell'Est asiatico. D'altro canto il Giappone, che pure sconta una certa recente debolezza, può contare su una solida struttura statale. Mentre dunque, con tutte le loro diversità, Usa e Giappone sono due Stati tradizionali in piena regola, con una politica estera e una politica economica centralizzata, per l'Europa si tratta di avviare un processo che la porti ad acquisire, attraverso profonde trasformazioni, le caratteristiche di una vera e propria «economia continentale». È questo, d'altro canto, l'unico modo per impedire che si assista nei prossimi anni a una «globalizzazione selvaggia», con una sola super-potenza, gli Stati Uniti, soggetta alla tentazione di «praticare il mercantilismo, travestendolo da libero scambio». Ma chi terrà, in Europa, le file di questo disegno? Sarà inevitabile il trionfo di quel modello «mitteleuropeo» che sembra oggi prepotentemente imporsi, con relativa «balcanizzazione» del resto del vecchio continente? O ci saranno possibili alternative? E quali conseguenze si avranno per il nostro paese, da sempre sbilanciato da uno squilibrio territoriale che rischia di lasciare il Sud fuori dall'Europa?