Attraverso il fiume del ricordo di un bambino che cresce, la storia corale di «un paesino che non si capiva bene se era nord della Lombardia o sud della Svizzera». È la seconda ondata dell’industrializzazione, quello che si definisce «boom economico». In quindici anni si passa dal villaggio contadino, all’età industriale e all’età postindustriale, cambiando tutto quanto in un modo sregolato, privo di logica e di bellezza, di sacro e di poesia. Una mutazione genetica le cui tappe sociali e storiche sono segnate: il rione della vecchia classe operaia, la differenza antropologica coi vecchi contadini, e con i proprietari del paese, i ghetti dei primi emigrati, la fine dei contadini, la chiusura della vecchia fabbrica, la nuova produzione dei padroncini e lavori a domicilio, la grande ondata migratoria, la distruzione del bosco comune, l’edilizia selvaggia, la musica ribelle giovanile, per finire con l’esplosione del Sessantotto. Ma che sono rappresentate narrativamente in maniera appunto mitica, cioè a dire per quadri e per figure tipiche, personaggi e episodi che forniscono l’immagine mobile del cambiamento nelle sue tappe diverse. «Il mitico mondo della sua infanzia e della sua adolescenza in cui è facile leggere anche l’infanzia e l’adolescenza dell’Italia moderna»: è la sintetica ed esatta definizione di Nanni Balestrini. Almeno nella misura in cui l’infanzia e l’adolescenza dell’Italia del dopoguerra che diventa moderna è una storia di grande solitudine. Della solitudine di classi senza privilegio e senza posto nella storia ufficiale lanciate nel tappeto volante della storia reale. Come il bambino che racconta la sua fantastica vita.
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Attraverso il fiume del ricordo di un bambino che cresce, la storia corale di «un paesino che non si capiva bene se era nord della Lombardia o sud della Svizzera». È la seconda ondata dell’industrializzazione, quello che si definisce «boom economico». In quindici anni si passa dal villaggio contadino, all’età industriale e all’età postindustriale, cambiando tutto quanto in un modo sregolato, privo di logica e di bellezza, di sacro e di poesia. Una mutazione genetica le cui tappe sociali e storiche sono segnate: il rione della vecchia classe operaia, la differenza antropologica coi vecchi contadini, e con i proprietari del paese, i ghetti dei primi emigrati, la fine dei contadini, la chiusura della vecchia fabbrica, la nuova produzione dei padroncini e lavori a domicilio, la grande ondata migratoria, la distruzione del bosco comune, l’edilizia selvaggia, la musica ribelle giovanile, per finire con l’esplosione del Sessantotto. Ma che sono rappresentate narrativamente in maniera appunto mitica, cioè a dire per quadri e per figure tipiche, personaggi e episodi che forniscono l’immagine mobile del cambiamento nelle sue tappe diverse. «Il mitico mondo della sua infanzia e della sua adolescenza in cui è facile leggere anche l’infanzia e l’adolescenza dell’Italia moderna»: è la sintetica ed esatta definizione di Nanni Balestrini. Almeno nella misura in cui l’infanzia e l’adolescenza dell’Italia del dopoguerra che diventa moderna è una storia di grande solitudine. Della solitudine di classi senza privilegio e senza posto nella storia ufficiale lanciate nel tappeto volante della storia reale. Come il bambino che racconta la sua fantastica vita.