In una lettera del 1962, Gaddis scriveva a un amico che la sua “ossessione per la nostra società sempre più controllata e la crescente meccanizzazione delle arti” avrebbe potuto sfociare in una nuova opera: avrebbe potuto costituire “un passo in avanti, un nuovo impegno, anche una fuga dalla routine”. È L’agonia dell’agape, un’impresa che accompagnerà lo scrittore per tutta la vita e che verrà data alle stampe solo dopo la sua morte, per volontà dello stesso Gaddis. La storia è quella di uno scrittore ormai anziano, alter ego di Gaddis stesso, che giace in un letto d’ospedale circondato dagli appunti di una vita, e tormentato dal bisogno di “spiegare tutto... riordinare e sistemare prima che tutto crolli”. Il nemico è l’entropia che divora il suo corpo in disfacimento e che al contempo “sta portando al collasso di tutto, dei significati, del linguaggio, dei valori, dell’arte”. Nel caos che domina la nostra epoca la tecnologia ha trasformato l’arte in passivo intrattenimento: quando, come, perché siamo arrivati a questo? Che cosa abbiamo perduto? Dov’è finita “l’accanita autenticità” che informava il rapporto tra lo scrittore e il lettore? È così che il protagonista, con una prosa incalzante e ritmica alla Thomas Bernhard, si lancia in un travolgente, disperato monologo, “una flebile voce che tenta di salvare il tutto” e che condensa i temi presenti in tutte le opere di Gaddis: il denaro, l’artista come contraffattore, e soprattutto quello che considera “il cuore di tutto”, la sua idea di agape: lo spirito del valore partecipativo e comunitario, condizione necessaria all’atto creativo che può avvenire solo tra spiriti “affini”. Perché è questa una delle verità che ci consegna L’agonia dell’agape, “piccola fiamma dura come una gemma”: come dice un personaggio di JR che cerca di spiegare agli altri che cos’è l’agape, “i migliori di noi fanno tesoro degli amici”.
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In una lettera del 1962, Gaddis scriveva a un amico che la sua “ossessione per la nostra società sempre più controllata e la crescente meccanizzazione delle arti” avrebbe potuto sfociare in una nuova opera: avrebbe potuto costituire “un passo in avanti, un nuovo impegno, anche una fuga dalla routine”. È L’agonia dell’agape, un’impresa che accompagnerà lo scrittore per tutta la vita e che verrà data alle stampe solo dopo la sua morte, per volontà dello stesso Gaddis. La storia è quella di uno scrittore ormai anziano, alter ego di Gaddis stesso, che giace in un letto d’ospedale circondato dagli appunti di una vita, e tormentato dal bisogno di “spiegare tutto... riordinare e sistemare prima che tutto crolli”. Il nemico è l’entropia che divora il suo corpo in disfacimento e che al contempo “sta portando al collasso di tutto, dei significati, del linguaggio, dei valori, dell’arte”. Nel caos che domina la nostra epoca la tecnologia ha trasformato l’arte in passivo intrattenimento: quando, come, perché siamo arrivati a questo? Che cosa abbiamo perduto? Dov’è finita “l’accanita autenticità” che informava il rapporto tra lo scrittore e il lettore? È così che il protagonista, con una prosa incalzante e ritmica alla Thomas Bernhard, si lancia in un travolgente, disperato monologo, “una flebile voce che tenta di salvare il tutto” e che condensa i temi presenti in tutte le opere di Gaddis: il denaro, l’artista come contraffattore, e soprattutto quello che considera “il cuore di tutto”, la sua idea di agape: lo spirito del valore partecipativo e comunitario, condizione necessaria all’atto creativo che può avvenire solo tra spiriti “affini”. Perché è questa una delle verità che ci consegna L’agonia dell’agape, “piccola fiamma dura come una gemma”: come dice un personaggio di JR che cerca di spiegare agli altri che cos’è l’agape, “i migliori di noi fanno tesoro degli amici”.