Sergej Ėjzenštejn assumeva il montaggio come l’unica vera manifestazione «creatrice e sovrana» dell’arte cinematografica. Eppure, nonostante l’importanza di questo momento nel processo produttivo e di scrittura del cinema, raramente si è assunto come presenza creativa del film il tecnico del montaggio. Questi per diventare conosciuto deve realizzare il passo verso la regia altrimenti può solo sperare in un briciolo di luce riflessa del suo regista e della raggiunta notorietà dei film da lui montati. Ma se è un nome sconosciuto ai più non lo è invece per la produzione, per i tycoons del cinema dei quali è il fido esecutore, colui che sintetizza (nel taglio) le volontà e le necessità del mercato. Arcalli ha influenzato nettamente la scrittura filmica del cinema italiano degli ultimi dieci anni. Amico e tecnico di fiducia di registi come Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Tinto Brass, Giulio Questi ed Eriprando Visconti ha montato e in parte sceneggiato i più importanti film degli anni settanta. Nemmeno lui si è potuto sottrarre però alla classica richiesta che i produttori fanno a un montatore: il taglio di mercato. A cadere nelle forbici di Kim è stato tra gli altri il Dersu Uzala di Akira Kurosawa, film scorciato di una decina di minuti.
Arcalli ha portato alle estreme conseguenze, anche sul piano personale, tutte le contraddizioni di una pratica perversa e polimorfa come il montaggio. 11 suo coinvolgimento in esse è totale; di sicuro nel cinema italiano dagli anni ’60 in poi sembra l’unico montatore ad aver reso vitale il suo lavoro, accettando tutti i poteri e tutte le insidie, esponendo se stesso come corpo contraddittorio, giungendo coerentemente a «morir di cinema» in un’esposizione e apertura di sé ai materiali esterni (e alla vita) che non ha uguali nel cinema italiano.
Marco Giusti, 1953, redattore di «Filmcritica», ha pubblicato un saggio su Laurei e Hardy per la Nuova Italia.
Enrico Ghezzi, 1952, redattore di «Filmcritica» e regista televisivo per la terza rete, ha pubblicato un saggio su Kubrick per la Nuova Italia.
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Sergej Ėjzenštejn assumeva il montaggio come l’unica vera manifestazione «creatrice e sovrana» dell’arte cinematografica. Eppure, nonostante l’importanza di questo momento nel processo produttivo e di scrittura del cinema, raramente si è assunto come presenza creativa del film il tecnico del montaggio. Questi per diventare conosciuto deve realizzare il passo verso la regia altrimenti può solo sperare in un briciolo di luce riflessa del suo regista e della raggiunta notorietà dei film da lui montati. Ma se è un nome sconosciuto ai più non lo è invece per la produzione, per i tycoons del cinema dei quali è il fido esecutore, colui che sintetizza (nel taglio) le volontà e le necessità del mercato. Arcalli ha influenzato nettamente la scrittura filmica del cinema italiano degli ultimi dieci anni. Amico e tecnico di fiducia di registi come Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Tinto Brass, Giulio Questi ed Eriprando Visconti ha montato e in parte sceneggiato i più importanti film degli anni settanta. Nemmeno lui si è potuto sottrarre però alla classica richiesta che i produttori fanno a un montatore: il taglio di mercato. A cadere nelle forbici di Kim è stato tra gli altri il Dersu Uzala di Akira Kurosawa, film scorciato di una decina di minuti.
Arcalli ha portato alle estreme conseguenze, anche sul piano personale, tutte le contraddizioni di una pratica perversa e polimorfa come il montaggio. 11 suo coinvolgimento in esse è totale; di sicuro nel cinema italiano dagli anni ’60 in poi sembra l’unico montatore ad aver reso vitale il suo lavoro, accettando tutti i poteri e tutte le insidie, esponendo se stesso come corpo contraddittorio, giungendo coerentemente a «morir di cinema» in un’esposizione e apertura di sé ai materiali esterni (e alla vita) che non ha uguali nel cinema italiano.
Marco Giusti, 1953, redattore di «Filmcritica», ha pubblicato un saggio su Laurei e Hardy per la Nuova Italia.
Enrico Ghezzi, 1952, redattore di «Filmcritica» e regista televisivo per la terza rete, ha pubblicato un saggio su Kubrick per la Nuova Italia.