Il Trentino e i trentini nella Grande guerra

Marco, Bellabarba,Gustavo, Corni

Language: Italian

Published: Sep 14, 2018

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La Prima guerra mondiale in Trentino è una storia carica di silenzi. A lungo, per gran parte del secolo scorso, i soli protagonisti legittimati a raccontarla erano state le poche centinaia di giovani borghesi che, allo scoppio del conflitto, avevano attraversato di nascosto la frontiera dell'allora Tirolo austriaco scegliendo di combattere nell'esercito italiano. Alle migliaia di uomini e donne di ogni età rimaste invece dentro i confini dell'Impero asburgico, le ricerche avevano dedicato uno sguardo appena superficiale o, spesso, quasi di fastidio. I saggi raccolti in questo volume (frutto di un progetto di ricerca coordinato dall'Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler e dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento), cercano di colmare questo vuoto. Alcuni lavori si concentrano sulle vicende dei 55.000 richiamati nella divisa dell'esercito asburgico durante l'estate del 1914, che furono i primi a subire le tragedie dell'apocalisse bellica. Spediti a combattere sul fronte galiziano, morirono a migliaia già nei primi mesi del conflitto, decimati tanto dai russi quanto dagli errori strategici dei comandi superiori. Le morti sul campo, la scarsità degli armamenti e del cibo, le vessazioni subite a opera degli ufficiali austro-ungheresi, non furono dimenticate. Se disertare fu per molti una tecnica naturale di sopravvivenza, per altri i mesi trascorsi nei campi di prigionia russa segnarono il graduale allontanamento dalla «patria» asburgica. Un secondo gruppo dei contributi racconta le vicende del fronte interno, poiché la guerra non distrusse e trasformò solo le vite dei soldati. A maggio del 1915, appena l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria circa 100.000 trentini – in prevalenza donne, vecchi, bambini – furono costretti a lasciare i loro paesi. L'esilio forzato fu altrettanto penoso e difficile da sopportare. Finita la guerra, trovarono ad accoglierli le loro case distrutte o, per i più fragili, qualche stanza di un ospedale psichiatrico dove elaborare faticosamente il trauma del ritorno. Niente, nel Trentino ora divenuto italiano, sarebbe stato come prima.