Ci sono uomini il cui genio è conclamato fin dalla più tenera età. Crescono strani. Non sono troppo bravi a vivere e a volte, purtroppo, muoiono presto. Ma è difficile dimenticarli, perché riescono a lasciarsi dietro segni incancellabili, anche quando si tratta di segni delicatissimi ed eterei fatti di note musicali, o del tocco inimitabile delle loro dieci dita su una tastiera. Ci sono uomini i cui talenti sono handicap. Da subito, pagano tutto più caro degli altri. Non brillano. Devono lavorare sodo per far emergere le loro immense ma inconsuete capacità. Perché lunga è la strada che separa un povero contadinello semicieco di una remota regione canadese dai sontuosi pianoforti della Steinway & Sons. Anche se quel bambino vede le note musicali come colori e ha un udito prodigioso.
Ci sono oggetti che dovrebbero essere uguali in tutto ad altri oggetti. Sono costruiti artigianalmente da maestranze di grande competenza, certo, ma escono pur sempre da una fabbrica, secondo specifiche codificate. E invece, per qualche motivo, sono magici. Se li si accudisce e li si ama diventano perfetti. Ma gli oggetti, si sa, si usurano o - peggio - si rompono. Spezzando dei cuori.
A poco più di venticinque anni dalla morte di Glenn Gould, il leggendario pianista canadese, il libro di Katie Hafner gli rende omaggio da una singolare angolazione: sulla base di studi e di interviste a testimoni e protagonisti, l'autrice ricostruisce la storia dello struggente rapporto fra Gould e il CD 318, l'adorato pianoforte sul quale l'artista eseguì buona parte delle sue più celebri registrazioni. Ma quella che si snoda nelle pagine di Hafner è anche la storia dell'incontro, fortunato ma non fortuito, fra l'artista e uno dei suoi eccezionali accordatori, lo schivo e tenace Verne Edquist, che aveva studiato accordatura in una scuola per ciechi nell'Ontario, sognando di lavorare un giorno per Steinway. Quella che state per leggere è una storia di eccellenza, di maniacalità, di ricerca della perfezione, di perdita e di nostalgia: a modo suo, una grande storia d'amore.
Katie Hafner, giornalista e scrittrice, è corrispondente del «New York Times».
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Ci sono uomini il cui genio è conclamato fin dalla più tenera età. Crescono strani. Non sono troppo bravi a vivere e a volte, purtroppo, muoiono presto. Ma è difficile dimenticarli, perché riescono a lasciarsi dietro segni incancellabili, anche quando si tratta di segni delicatissimi ed eterei fatti di note musicali, o del tocco inimitabile delle loro dieci dita su una tastiera. Ci sono uomini i cui talenti sono handicap. Da subito, pagano tutto più caro degli altri. Non brillano. Devono lavorare sodo per far emergere le loro immense ma inconsuete capacità. Perché lunga è la strada che separa un povero contadinello semicieco di una remota regione canadese dai sontuosi pianoforti della Steinway & Sons. Anche se quel bambino vede le note musicali come colori e ha un udito prodigioso. Ci sono oggetti che dovrebbero essere uguali in tutto ad altri oggetti. Sono costruiti artigianalmente da maestranze di grande competenza, certo, ma escono pur sempre da una fabbrica, secondo specifiche codificate. E invece, per qualche motivo, sono magici. Se li si accudisce e li si ama diventano perfetti. Ma gli oggetti, si sa, si usurano o - peggio - si rompono. Spezzando dei cuori. A poco più di venticinque anni dalla morte di Glenn Gould, il leggendario pianista canadese, il libro di Katie Hafner gli rende omaggio da una singolare angolazione: sulla base di studi e di interviste a testimoni e protagonisti, l'autrice ricostruisce la storia dello struggente rapporto fra Gould e il CD 318, l'adorato pianoforte sul quale l'artista eseguì buona parte delle sue più celebri registrazioni. Ma quella che si snoda nelle pagine di Hafner è anche la storia dell'incontro, fortunato ma non fortuito, fra l'artista e uno dei suoi eccezionali accordatori, lo schivo e tenace Verne Edquist, che aveva studiato accordatura in una scuola per ciechi nell'Ontario, sognando di lavorare un giorno per Steinway. Quella che state per leggere è una storia di eccellenza, di maniacalità, di ricerca della perfezione, di perdita e di nostalgia: a modo suo, una grande storia d'amore. Katie Hafner, giornalista e scrittrice, è corrispondente del «New York Times».