Nella comunicazione globale, l'italiano è destinato a perire, rimanendo solo la lingua dei sentimenti? Oppure può convivere proficuamente insieme all'inglese e ad altre lingue secondo il principio che "più si è mescolati più si è ricchi"? L'Italia vive da tempo una questione della lingua che tocca problemi d'identità e orgoglio nazionali. Ma il dominio dell'inglese è ormai un dato di fatto. Il linguaggio quotidiano ne fa un uso disinvolto e invasivo, mentre sempre più numerosi sono i corsi universitari tenuti in lingua inglese. Che cosa implica per il nostro patrimonio culturale l'ascesa dell'inglese come lingua veicolare? Un destino di subalternità? O viceversa l'opportunità di un arricchimento? Sul tema discutono uno storico contemporaneo e un italianista. Il primo prende atto del tramonto delle lingue nazionali come lingue scientifiche, ma coglie in questo processo anche la possibile, vitale affermazione di un plurilinguismo europeo. Il secondo difende con vigore l'uso dell'italiano a tutti i livelli, come dispositivo utile a promuovere una comunicazione diffusa e non solo d'élite.
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Nella comunicazione globale, l'italiano è destinato a perire, rimanendo solo la lingua dei sentimenti? Oppure può convivere proficuamente insieme all'inglese e ad altre lingue secondo il principio che "più si è mescolati più si è ricchi"? L'Italia vive da tempo una questione della lingua che tocca problemi d'identità e orgoglio nazionali. Ma il dominio dell'inglese è ormai un dato di fatto. Il linguaggio quotidiano ne fa un uso disinvolto e invasivo, mentre sempre più numerosi sono i corsi universitari tenuti in lingua inglese. Che cosa implica per il nostro patrimonio culturale l'ascesa dell'inglese come lingua veicolare? Un destino di subalternità? O viceversa l'opportunità di un arricchimento? Sul tema discutono uno storico contemporaneo e un italianista. Il primo prende atto del tramonto delle lingue nazionali come lingue scientifiche, ma coglie in questo processo anche la possibile, vitale affermazione di un plurilinguismo europeo. Il secondo difende con vigore l'uso dell'italiano a tutti i livelli, come dispositivo utile a promuovere una comunicazione diffusa e non solo d'élite.