In questo testo, scritto nel 2001, Norman Lewis racconta di un viaggio in sambuco lungo le coste dell’Arabia meridionale nel tentativo di raggiungere l’inaccessibile Yemen del 1937. Oltre a riassumere con esilarante efficacia l’antica goffaggine dei nostri rapporti col vicino Oriente – e dei nostri tentativi di esercitare una qualche forma di controllo su quelle regioni –, Lewis conferma quanto già sapevamo di lui e della sua diabolica capacità di farsi inviare a spese di questa o quella branca dell’amministrazione britannica in luoghi variamente esotici, per poi rientrare in patria con resoconti un po’ diversi da quelli che gli erano stati commissionati. Ma qui Lewis va anche oltre, perché raccontando fra un’annotazione e l’altra il suo lieve apprendistato ai due mestieri che lo renderanno famoso – lo spionaggio a tempo perso, appunto, e la scrittura a tempo pieno – inaugura, quasi senza rendersene conto, un genere sino a oggi quasi sconosciuto: il reportage di formazione.
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In questo testo, scritto nel 2001, Norman Lewis racconta di un viaggio in sambuco lungo le coste dell’Arabia meridionale nel tentativo di raggiungere l’inaccessibile Yemen del 1937. Oltre a riassumere con esilarante efficacia l’antica goffaggine dei nostri rapporti col vicino Oriente – e dei nostri tentativi di esercitare una qualche forma di controllo su quelle regioni –, Lewis conferma quanto già sapevamo di lui e della sua diabolica capacità di farsi inviare a spese di questa o quella branca dell’amministrazione britannica in luoghi variamente esotici, per poi rientrare in patria con resoconti un po’ diversi da quelli che gli erano stati commissionati. Ma qui Lewis va anche oltre, perché raccontando fra un’annotazione e l’altra il suo lieve apprendistato ai due mestieri che lo renderanno famoso – lo spionaggio a tempo perso, appunto, e la scrittura a tempo pieno – inaugura, quasi senza rendersene conto, un genere sino a oggi quasi sconosciuto: il reportage di formazione.